La Sanfelice 1.1 by Alexandre Dumas

La Sanfelice 1.1 by Alexandre Dumas

autore:Alexandre Dumas
La lingua: ita
Format: azw3, epub
editore: Adelphi
pubblicato: 1998-12-31T23:00:00+00:00


19. LA CAMERA ILLUMINATA.

Erano all’incirca le due del mattino allorché il re e la regina, lasciando l’ambasciata d’Inghilterra, tornarono a palazzo. Il re, molto preoccupato, come abbiamo detto, per la scena a cui aveva assistito, si diresse immediatamente verso le proprie stanze, e la regina, che lo invitava di rado a entrare nelle sue, non pose alcun ostacolo a quella ritirata precipitosa, sembrando altrettanto impaziente di ritirarsi.

Il re non si nascondeva la gravità della situazione. Nelle circostanze più gravi egli era solito consultare un uomo che gli ispirava una certa fiducia poiché non si era mai rivolto a lui senza riceverne un saggio consiglio; di conseguenza, gli riconosceva una effettiva superiorità rispetto alla moltitudine di cortigiani che lo circondava.

Quest’uomo era il cardinale Fabrizio Ruffo, che abbiamo visto al fianco dell’arcivescovo di Napoli, suo decano al Sacro Collegio, in occasione del “Te Deum” celebrato il giorno prima, nella cattedrale di Napoli, in onore dell’arrivo di Nelson.

Ruffo era presente alla cena offerta al vincitore di Abukir da Sir William Hamilton; aveva quindi visto e udito tutto, e il re, uscendo, gli aveva semplicemente detto: «Vi aspetto questa notte a palazzo».

Ruffo si era inchinato in segno di sottomissione a Sua Maestà.

In effetti, dieci minuti dopo che il re era rientrato avvisando l’usciere di servizio della visita che attendeva, gli annunciarono che il cardinale voleva sapere se il re era disposto a riceverlo.

«Fatelo entrare!» gridò Ferdinando in modo che il visitatore potesse sentire. «Lo credo bene che sono disposto a riceverlo!».

Il cardinale, senza aspettare la chiamata dell’usciere, rispose con la sua presenza immediata all’invito pressante del re.

«Ebbene, eminentissimo, che ne dite di quanto è accaduto?» domandò il re sprofondandosi in una poltrona e facendo segno all’altro di sedersi.

Questi, ben sapendo che la massima riverenza che si possa mostrare nei confronti di un re è la pronta obbedienza ai suoi ordini, e che ogni suo invito equivale a un comando, prese una sedia e si sedette.

«Dico che è una faccenda molto grave» rispose. «Fortunatamente la Vostra Maestà vi è stata coinvolta per l’onore dell’Inghilterra, e spetta dunque all’Inghilterra l’onore di sostenerla».

«Che ne pensate, sinceramente, di quel bulldog di Nelson? Siate franco, cardinale».

«Vostra Maestà è così buona con me che lo sono sempre, franco!».

«Allora parlate».

«Quanto a coraggio, è un leone; quanto a istinto militare, è un genio; ma, quanto a intelligenza, per fortuna è un uomo mediocre».

«Per fortuna, dite?».

«Sì, sire».

«E perché mai per fortuna?».

«Perché gli faremo fare quello che vorremo, puntando su due suoi lati deboli».

«Quali?».

«L’amore e l’ambizione. Per l’amore, la cosa riguarda Lady Hamilton; l’ambizione, invece, riguarda noi. Le sue origini sono assai modeste; la sua educazione, inesistente. Si è conquistato i gradi senza metter piede in un’anticamera, lasciando un occhio a Calvi, un braccio a Tenerife, la pelle della fronte ad Abukir; trattate quest’uomo da gran signore e gli farete perdere la testa, dopodiché Vostra Maestà ne farà ciò che vorrà. Siamo sicuri di Lady Hamilton?».

«La regina ne è sicura, a quanto dice».

«Allora non avete bisogno d’altro. Tramite quella donna, otterrete tutto: ella vi darà insieme il marito e l’amante; entrambi sono pazzi di lei».



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